Paterno

Paterno è uno dei 29 comuni compresi nell’area del Parco Nazionale Appennino Lucano Val D’agri Lagonegrese, il
Parco Nazionale più giovane d’Italia. Il Parco istituito con DPR l’8 dicembre del 2007, ha una superficie di 68996 ettari di territorio dispiegati in 4 ambiti territoriali: l’Alta Val d’Agri, la Val Camastra, l’Alta Valle del Melandro e il Lagonegrese. Il Parco ricade nella provincia di Potenza, ed è ricco di 12 siti di interesse Comunitario SIC – 2 siti zone a protezione Specile ZPS – 1 sito ZSC zona speciale di conservazione, 1 sito di Important bird Area IBA.

Il Parco Nazionale dell’Appennino Lucano offre una straordinaria variabilità di ambienti; basti pensare alla differenza altimetrica dei territori, si va dai 2005 mt s.l.m. del monte Papa ai 300 mt della Murgia di Sant’Oronzo. Questa variabilità offre al visitatore la possibilità di vivere il tipico ambiente montano, dove prevale il faggio, ma anche zone pedemontane e calanchive con la tipica vegetazione mediterranea.

Dal punto di vista della fauna numerosissimi sono i rapaci osservabili come il nibbio reale il nibbio bruno, la poiana; nidificano nel parco la cicogna nera e il capovaccaio, comuni sono l’istrice, il cinghiale, e diversi tipi di anfibi. Lungo il fiume Agri è presente la lontra, il lupo dell’Appennino è tornato a vivere tra i suoi boschi.

Cenni Storici. Paterno ha origini molto antiche risalenti all’età del bronzo. Il primo sito abitato risulta ubicato in località Civita e viene collocato tra il XIV e l’XI sec. a.C, ne sono testimonianza rinvenimenti ceramici decorati con la tecnica del Puntinato –  effetto di chiaroscuro ottenuto mediante una serie di puntini di cui si può variare la densità – oggi conservati presso il Museo Nazionale dell’Alta Val d’Agri di Grumento Nova, Grumentum, antica città romana della Lucania. La Civita fu abitata da pastori transumanti appartenenti alla cultura appenninica, dello stesso ceppo degli abitanti del sito di Murgia S. Angelo di Moliterno. Sicuramente furono questi pastori a tracciare una rete di scambi con il Vallo di Diano e con la costa Ionica, attraverso le valli fluviali interne. Ancora oggi grazie ad alcuni “passi” (di Marsico Nuovo e Paterno), si può accedere agevolmente al Vallo di Diano ,attraversato dal fiume Tanagro, affluente del Sele, via di comunicazione con la pianura tirrenica di Paestum.

A Paterno numerosi insediamenti risalenti all’epoca romana sorsero nella pianura, dove si ebbe la presenza di ville patrizie, alcune rinvenute in località Aggia. L’abbondanza delle acque favorì il concentrarsi della popolazione soprattutto nel rione “Tempa”, dove successivamente venne costruita la chiesa matrice. I primi siti abitativi dopo la Civita furono Raia e Tempa, situati tutti e tre sulla zona collinare. Le orde saracene che, sul declinare del 1° millennio, distrussero Grumentum, costrinsero gli abitanti di Paterno ad aggregarsi a quelli di Marsico Nuovo e Marsicovetere. Con l’invasione dei Normanni Paterno risorse come centro autonomo, ma annesso alla giurisdizione di Marsico Nuovo, di cui ha condiviso le sorti sino all’età moderna.  Durante il brigantaggio post-unitario numerosi suoi cittadini si diedero alla macchia, organizzandosi anche in bande.  Famoso fu Federico Aliano, un capo brigante della valle; “ Era di fisionomia spessa e metallica, alto, aveva un naso grosso e schiacciato, aria truce, sguardo torvo e rabbioso, occhio severo ed immobile, di prodigiosa forza muscolare. Pare che avesse un aspetto militare per essere stato nella cavalleria; si era dato alla vita di fuorilegge soltanto dopo sette mesi dal congedo, associandosi alla banda Cianciarulo. Aliano disseminò ovunque lacrime, supplizi, uccisioni. Oltre ai numerosi incendi, mutilazioni, ferimenti, sequestri e tormenti vari, gli furono imputati 21 delitti, senza contare quelli, di cui fu corresponsabile.  Molte volte Federico Aliano fu creduto morto. Anche la notte di Pasqua del 1873, in uno scontro con due carabinieri si credette che fosse stato ucciso. In realtà fu semplicemente ferito anche se in modo grave. Condotto nella caserma dei carabinieri di Marsico Nuovo, all’interrogatorio, dichiarò, tra le altre cose, che egli era stato per otto anni “il garante delle proprietà dei cittadini”. Il giorno dopo fu condotto al cospetto del Procuratore Generale di Potenza e, dopo parecchie settimane, fu condannato a morte (sentenza del 9 novembre 1874). Saputa la sua condanna, Aliano chiese di fumare, da mangiare e da bere e di vedere la moglie. Poi dettò una lettera al padre, raccomandandogli i figli e le sorelle. Alla numerosa gente che accorse, intorno alle ore 5,25 di sabato 14 agosto 1875 per assistere alla sua condanna, non rivolse che poche parole “Popolo di Potenza, la mia morte vi serva da esempio, padri di famiglia, educate bene i vostri figli. Anche mio padre mi diede una buona educazione, ma io fui un assassino. Vado alla morte per ciò che ho meritato, pregate per me.”

Paterno fu frazione di Marsico Nuovo sino al 4 maggio 1973, data in cui ottenne l’autonomia amministrativa con legge regionale n° 8. L’autonomia fu ottenuta in seguito ad una consultazione popolare avvenuta il 10 dicembre 1972. I confini del Comune di Paterno furono stabiliti come segue: “limite Provincia di Salerno, limite nord foglio di mappa 74 e 78, strada comunale Capurso, strada vicinale Vallone delle Rose, strada vicinale Pisciolo-Santini fino all’incontro col fiume Agri e limite tra foglio di mappa 80 e 92, limite fogli di mappa 80 e 91, strada provinciale n° 80, strada comunale Piercontissi, strada comunale Pagliarone – Spineto, Strada Provinciale n° 80, confine Sud con il Comune di Tramutola.” (legge regionale 4 maggio 1973 n° 8).  Sull’origine del nome di Paterno esistono diverse ipotesi, la prima fa derivare il nome da “Paternus”, inteso come proprietà ereditata dal padre; una seconda ipotesi deriva dal verbo latino “patere” che significa essere aperto, estendersi, aprirsi. Da ciò si può intendere che il centro abitato dalla zona collinare si sia esteso nella pianura. Il nome Paterno indicherebbe quindi un luogo abitato, che si estende in un territorio pianeggiante.

Curiosità. L’antico costume Paternese era simile a quello di Marsico Nuovo. In genere gli uomini indossavano una giacca blu scuro con un gilet di colore scarlatto o verde scuro, pantalone di velluto di colore solitamente nero e calze bianche. L’abito femminile era composto da un copricapo bianco di lino o di cotone ripiegato e ricadente sulle spalle, ricoperte da un lungo panno chiamato “U pannciedd” di colore marrone con bordi adorni di galloni argentati, camicia bianca di lino o di cotone con collo alto bordato da merletti e maniche lunghe con polsino di merletto; soprammaniche di colore scarlatto come il corpetto, rifinito da fettuccia di colore giallo; la camicia veniva arricchita di nastri colorati, che scendevano dalla spalle fino alle soprammaniche legate da un fiocco; la gonna di pannolana, solitamente di colori scuri, marrone, nero oppure blu, con ampio gallone geometrico a qualche centimetro di distanza dal bordo inferiore; il grembiule, “U vandsin” ,di telaccio di colore scuro bordato di fettuccia gialla; calze di colore chiaro e scarpe di colore scuro con fibbia.

Paterno si estende su un territorio di 40,74 km² posto a 634 mt s.l.m., caratterizzato da una vasta area territoriale pianeggiante, da una zona collinosa a ridosso della quale si innalza con immediatezza la catena montuosa della Maddalena. Paterno è un paese ricco di acqua, attraversato da numerosi fiumi e torrenti: fiume Agri, torrente Oscuro, Chiasciumara e l’Aggia. Inoltre ha diverse sorgenti, tra cui la Sorgitora.  Le sorgenti vengono alimentate dai laghi naturali Mandrano e Mandraniello della piana di Mandrano, dove mediante gli “inghiottitoi”, fenomeno carsico, l’acqua penetra nel terreno ed arriva alle sorgenti. Paterno è la sede del primo acquedotto dell’Agri, con una portata di 86 litri di acqua al secondo, 300 chilometri di lunghezza, 29 centri serviti, in provincia di Potenza e di Matera. Quest’opera fu portata a compimento il 14 luglio del 1937, con l’inaugurazione della fontana terminale costruita nell’abitato di Scanzano, dove un’epigrafe in latino recita: “Ave aqua, fons vitae, morbis inimica”, l’acqua fonte di vita e nemica delle malattie.